Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è volta a istituire una Commissione parlamentare di inchiesta per approfondire la nota vicenda dei bond argentini che ha visto migliaia e migliaia di risparmiatori italiani vittime di un pesante danno economico.
      L'istituenda Commissione parlamentare di inchiesta si propone di accertare i fatti anche al fine di individuare una soluzione concreta per sostenere le legittime richieste di coloro che si sono fidati dell'offerta che venne loro proposta dagli istituti finanziari.
      I risparmiatori italiani che hanno acquistato, nel periodo 1997-2001, titoli obbligazionari emessi dalla Repubblica argentina, sono circa 400 mila, per un importo complessivo stimato in 20 miliardi di euro circa. Si tratta di un importo pari a circa l'1 per cento del prodotto interno lordo.
      L'investimento in titoli obbligazionari emessi da uno Stato ha la caratteristica di un investimento non partecipativo, ma meramente conservativo del capitale investito, e quindi connota la scelta di risparmiatori poco inclini ad accettare il rischio di perdita del proprio capitale.
      Larga parte degli investitori in titoli obbligazionari argentini è costituita da ex investitori in titoli di Stato pubblici italiani: la collocazione, la negoziazione e l'intermediazione così massicce di titoli obbligazionari argentini sono state possibili in primo luogo proprio perché la natura stessa delle obbligazioni, ossia il fatto che fossero garantite dal patrimonio dello Stato, tranquillizzava gli investitori.
      Le emissioni dei titoli obbligazionari della Repubblica argentina sono state numerosissime a decorrere dall'inizio degli

 

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anni '90 e la loro contrattazione sul mercato italiano regolamentato dei capitali si è sviluppata ininterrottamente sino al novembre del 2001.
      Dal mese di gennaio 2002 la Repubblica argentina ha cessato di corrispondere le cedole e di rimborsare il capitale relativo al prestito obbligazionario contratto con i risparmiatori possessori di tali titoli, mettendo in atto il primo caso di insolvenza di uno Stato sovrano nell'epoca contemporanea.
      Dopo la dichiarazione di insolvenza, avvenuta il 31 dicembre 2001, numerose indagini, condotte dalla magistratura, dalla Commissione nazionale per le società e la borsa e da giornalisti indipendenti, hanno cominciato a far emergere le responsabilità di alcuni istituti di credito nazionali e internazionali, di organi di controllo e di alcuni organismi internazionali nella collocazione irregolare dei bond. A seguito di queste indagini hanno preso il via numerosi procedimenti giudiziari.
      La lotta degli investitori per il recupero del proprio credito si è definita in due strategie: la strategia giudiziaria, portata avanti da gruppi di creditori attraverso il patrocinio di alcuni studi legali e in particolare dal Comitato creditori Argentina (www.creditoriargentina.com) e quella stragiudiziale, sostenuta in particolar modo dalle banche, che mirava a un accordo con il Governo argentino e confidava particolarmente nell'appoggio del Fondo monetario internazionale (FMI) ai creditori per una rinegoziazione equa del credito.
      Il 22 luglio 2002, alcuni creditori facenti capo al Comitato creditori Argentina hanno ottenuto il primo sequestro di beni argentini in Italia.
      Sulla scia di questa azione giuridica, altre cause radicate in Italia e all'estero (Germania, USA) hanno raggiunto lo stesso risultato.
      Il 18 settembre 2002, le banche hanno costituito a loro volta un'associazione per la tutela dei creditori, la Task Force Argentina (TFA), affidandone la gestione all'Associazione bancaria italiana (ABI) quale «organismo terzo» rispetto alle due parti della contrattazione.
      L'ABI è l'organismo che costituisce il sindacato privatistico a cui fanno capo molte banche e che ha, quale propria finalità, la tutela degli interessi delle stesse.
      Sulla stampa internazionale, in particolare su quella argentina, i termini dell'accordo tra Governo argentino e FMI e della rinegoziazione venivano discussi ampiamente. Emergeva con chiarezza che il trattamento dei creditori privati si profilava tutt'altro che roseo e che la strategia di attesa caldeggiata dalle banche non avrebbe prodotto alcun risultato positivo nei confronti dei creditori.
      L'accordo di Dubai tra Governo argentino e FMI, reso pubblico nel settembre 2003, ha confermato questa previsione.
      Esso penalizzava pesantemente gli investitori privati, prevedendo un rimborso del solo 25 per cento del capitale, a decorrere dal 2007, ossia quando tutti i bond saranno a rischio di prescrizione, e salvaguarda gli interessi del FMI, l'organo che era deputato a difendere gli interessi dei creditori.
      La scelta stragiudiziale di attesa si è rivelata apertamente per quello che è: lo strumento che permette di proteggere ad oltranza le banche e i loro interessi dal rischio di cause contro di loro.
      Tale piano è stato successivamente confermato dall'operazione di scambio attuata dall'Argentina nel febbraio 2005.
      Circa il 76 per cento dei risparmiatori italiani ha aderito all'offerta, per cui vi sono 300 mila risparmiatori, per un importo stimato di 8 miliardi di euro, che attualmente vantano legittimi diritti nei confronti dello Stato argentino.
      I soggetti colpiti da questa vicenda sono coloro i quali in epoca precedente investivano in titoli di Stato italiani: si tratta in gran parte della classe media produttiva del Paese o di pensionati.
      Tenuto conto dei termini temporali delle vicende precedentemente ricordate, la presente proposta di legge prevede che i lavori della Commissione parlamentare di inchiesta siano terminati entro il 31 dicembre 2006.
 

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